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Giorgio Mencaroni,Presidente della Camera di Commercio dell’Umbria, imprenditore del settore turistico-ricettivo, fautore della valorizzazione dell’olio in tutte le sue sfaccettature. Vede nel ristoratore una figura-chiave e in EXTRACUOCA un ambizioso progetto, idealmente primo tra molti. La parola che più conta in questa intervista è “valore”.

 

“L’OLIO È ‘NOSTRO’,
SOTTO TUTTI I PUNTI DI VISTA”

 

Quale visione porta a EXTRACUOCA dal Suo osservatorio istituzionale?

L’olio extravergine e il talento femminile sono legati. È da favorire la finalità unica di valorizzare la qualità dell’olio evo con tutte le sue sfaccettature gustative, culinarie, culturali turistiche, paesaggistiche, territoriali, economiche. Da parte del sistema camerale, dell’Ercole Olivario, c’è una volontà di impegno, che deriva dalla necessità di promuovere la conoscenza presso il pubblico dell’olio di qualità. Perché ci vuole una maggiore consapevolezza del ruolo della cucina di eccellenza e del ruolo centrale del settore ristorativo per arrivare al consumatore finale.

La ristorazione può garantire la realizzazione di questa volontà.

Il ristoratore per primo deve conoscere l’olio che utilizza, promuovendolo. Ma questo non sempre avviene. Mentre a livello di vino fa corsi di sommelier, si prepara e documenta per presentare e promuovere il prodotto, non avviene lo stesso nel caso dell’olio. Qui siamo carenti.

Eppure, come esiste l’abbinamento perfetto vino-piatto, c’è anche l’abbinamento perfetto olio-piatto. Scontiamo invece una carenza di cultura da parte anche dei responsabili di sala. C’è dunque uno sforzo centrale che dobbiamo fare per superare tutto questo.

 

Quali le ricadute più interessanti di iniziative come questa?

Extracuoca, progetto ambizioso che nasce con Ercole Olivario e l’associazione Nazionale Donne dell’Olio supportate da Lady Chef e da AIRO (associazione Internazionale Ristoranti dell’Olio) ha un bel parterre e i suoi obiettivi sono riassunti: nella valenza femminile nel mondo della ristorazione, nella valenza di uno dei prodotti principali della cucina italiana, nel percorso strategico di valorizzazione anche turistica e culturale del territorio, oltre che del prodotto.

C’è il turismo enologico, c’è il turismo gastronomico, dev’esserci sempre più anche il turismo dell’olio, che esplori le connotazioni del territorio e la biodiversità olivicola eccezionale che contraddistingue il nostro paese nel profondo.

Le realtà contadine hanno sempre visto nell’ulivo e nella vite le basi della cultura e in prodotti come la farina, il maiale, l’olio le basi della vita di una famiglia, la sussistenza.

Nel tempo, chi produce vino ha fatto una crescita esponenziale sotto tutti gli aspetti tecnici, culturali, economici. Nell’olio grande è stata l’evoluzione tecnica, si pensi ai frantoiani e al progresso della lavorazione. Questa crescita va presa ad esempio anche per gli altri aspetti.

E devono crescere tutti, dai produttori ai consumatori, non solo italiani. Siamo frastornati, anche quando all’estero e troviamo “olio italiano” a 3-4 dollari al litro o vediamo, per contro, bottiglie da 60 dollari. Perché questi estremi? Non riusciamo a far percepire la verità e il grande valore di questo prodotto. C’è un grande il lavoro da affrontare e sì, ci possono essere anche altre azioni, altri progetti.

 

E se la formazione sull’olio diventasse sistemica?

Dobbiamo affinare la conoscenza dell’olio di qualità, anche con corsi gratuiti.

Dobbiamo approfondire l’aspetto sensoriale, nutrizionale, culinario – che leghino i fatti portanti dell’olio. L’olio extravergine di qualità può davvero creare occasioni di profitto e creatività in cucina, ma bisogna conoscerlo: troppo spesso è ancora visto come condimento e non come ingrediente.

E non solo come ingrediente di piatti italiani, ma anche di piatti di altre tradizioni e culture!

Nelle missioni all’estero spesso diciamo “provate un olio di qualità in un vostro piatto e vedete la differenza” anche questo è un modo di fare educazione e un modo per espandere il valore e le potenzialità dell’olio.

 

Il menu è un veicolo, punto di passaggio dal ristoratore al cliente-consumatore!

E bisogna dare centralità al menu. È importante lavorare sulla formazione e soprattutto sui consumatori finali, insegnando loro a scegliere. La formazione diventa poi educazione e costume. E come si compra una buona bottiglia di vino che si consuma in una serata, perché non si dovrebbe comprare una preziosa bottiglia d’olio? Accadrà, deve accadere. È in gioco un fatto culturale e sono coinvolti soggetti a livello politico, scientifico, la stampa.

Si auspica di valutare iniziative ben strutturate.

 

Quale call to action alle possibili partecipanti?

Se partecipano, sono incuriosite. Bello, perché la conoscenza nel campo dell’olio ancora non ha limiti.

Da una parte, sono passati più volte nella comunicazione aspetti negativi, come il terrore dei grassi, e si è parlato meno di polifenoli. Dall’altra parte, le donne hanno avuto meno presenza nella professione di cuoco dividendosi tra la cura del lavoro, della casa, della famiglia. Ma spesso sono più fantasiose, più rigorose.

L’invito è allora: approfondire sempre di più l’olio e legarlo a tutti i piatti. Impadronirsi della conoscenza del prodotto perché ogni piatto possa essere un’eccellenza non solo dal punto di vista gustativo ma anche salutistico.

Ecco le armi per far credere e capire l’importanza dell’olio e degli ulivi nella nostra cultura.

Ricordo le nostre oltre 500 cultivar confrontate alle 18 della Spagna. C’è qualcosa di eccezionale.

L’olio è nostro, sotto tutti i punti di vista.